13 aprile 2012

Cgil fuori dalla storia e dal tempo

La polemica che alcuni esponenti della CGIL tentano di portare avanti ha ormai superato i limiti del risibile ed è la prova più eclatante della loro totale mancanza di conoscenza del sistema della Continuità Assistenziale.

Evidentemente fermi a vecchi stereotipi del passato, non hanno conoscenza di alcuni particolari di non scarso rilievo che riguardano l’area che dichiarano di voler difendere e rappresentare.

Come già da qualche anno testimoniano i dati ENPAM, il 50% dei medici di continuità assistenziale attualmente in servizio è già medico di medicina generale.

Questa quota si incrementa di circa il 5% ogni anno mentre si riduce, da parte di questi medici con doppio incarico, il tasso di abbandono del servizio di guardia medica.

Quest’ultimo dato testimonia un maggiore interesse di questi colleghi al mantenimento dell’incarico di guardia medica più che alla proiezione verso l’assistenza primaria.

I motivi di questa scelta sono oggetto di studio e sembrano legati essenzialmente ad aspetti vocazionali, economici, alla difficoltà di concorrenza sulle scelte in aree già stabilizzate, alla riduzione dell’attrattiva del ruolo del medico di famiglia oberato da carichi burocratici e di responsabilità amministrativa più che da compiti clinici.

FIMMG Continuità Assistenziale sta monitorando le caratteristiche dei medici operanti in Guardia Medica ormai da anni.

Dai dati in nostro possesso appare chiaro che attualmente il servizio è gestito al 15% con incarichi provvisori determinati dalla riduzione dei medici e dai tempi di attesa che si realizzano tra l’inserimento in graduatoria e l’attribuzione dell’incarico definitivo.

Dall’abolizione della guardia medica tali medici ricaverebbero solo la perdita del posto di lavoro per quanto provvisorio.

Esiste poi un altro 10 % che, sulla base di specifici accordi regionali, detiene già incarichi con completamento orario a 38 ore settimanali.

Questi medici sembrano poco interessati a una evoluzione nell’area della medicina generale che li porterebbe alla battaglia per la concorrenza sulle scelte e che ne ridurrebbe immediatamente la redditualità oltre a non garantire in prospettiva appropriatezza di cure.

Un ulteriore 15% è rappresentato da medici che affiancano all’attività di continuità assistenziale attività libero professionale o compatibile, grazie dal possesso di una specializzazione; questi ultimi avendo stabilizzato il loro reddito complessivo nell’ambito di queste due attività, una pubblica e l’altra privata, non intendono variare il loro stato e appaiono i più refrattari al cambiamento.

In conclusione appare chiaro che nell’arco di pochi anni il restante 10 % si troverà nella condizione di poter ottenere l’accesso alle funzioni di medico di medicina generale e che, pertanto il sistema risolverà da solo quanto la CGIL tenta di risolvere in maniera declaratoria senza analisi di contesto e evidentemente parlando di cose che non conosce oppure, alla luce dei documenti sul ruolo nelle cure primarie di professionisti non medici in discussioni sui tavoli Regioni Ministero, ha già in mente di assegnare tali funzioni a qualcun altro.


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